Una Storia un Mito

GIORGIO, UNA STORIA, UN MITO

A ricordo di Giorgio Carotta

Bruno Mendo lo chiamava “el montagnaro”; la sua famiglia viveva infatti a Pedemonte, sul pendìo dell’Altopiano di Lavarone.
Era dotato di intelligenza acuta e si era forgiato nei luoghi di origine, dove la vita ti richiama sempre alla fatica del vivere quotidiano, dove la gente fa della solidarietà parte importante del suo tessuto sociale, ma dove le cose che possiedi te le conquisti a caro prezzo.
Lo vidi per la prima volta in un pomeriggio di sabato a Rossano Veneto, nel campo sportivo naturalmente, quando giocava tra le file dell’A. C. Rossano, nella categoria dei giovanissimi. Allenavo allora la squadra giovanissimi dell’A. S. Cittadella, anno sportivo 1976/77, e fui colpito da questo ragazzo tarchiato, solido fisicamente, ma un po’ sgraziato nella corsa. Aveva una confidenza innata con la palla ed un incredibile “stare in campo” che sembrava del tutto naturale; era un ragazzo che dovevo portare a Cittadella a tutti i costi.
Facemmo delle indagini, con il fido Flavio Crivellaro, e scoprimmo che Giorgio era in convitto a Mottinello dai Padri Camilliani. In quel periodo i Padri mandavano una decina di ragazzi a svolgere attività sportiva in quel di Rossano. Non ci fu difficile, dopo aver conosciuto padre Beppino, responsabile dei giovani dell’Istituto e di lì a poco collega di insegnamento al liceo di Cittadella, portare Giorgio e tutti i suoi compagni (quella fu infatti la clausola) all’A. S. Cittadella.
Giorgio Carotta era la ciliegina che mancava per comporre una grande squadra giovanile, ed infatti i risultati furono subito evidenti: non ci mise molto a diventare leader indiscusso in quella compagnia di ottimi giocatori e soprattutto di grandissimi giovani.
Erano gli anni nei quali cominciavo a muovere i primi passi da allenatore e, dato che ero pure nel pieno della mia attività di calciatore, non disdegnavo di partecipare alle partitelle di fine allenamento.
Era uno spasso prendere un sacco di legnate da Lucio Andreatta, che marcava “a uomo” e quando ti toccava provocava un suono metallico (qualche anno dopo Pitti lo chiamò Luciometallico). “Lucio, zé pì e peae che te me dé ti su un allenamento che quee che ciapo in un campionato”. Giorgio rideva fra sé, mentre si divertiva in finte e controfinte e giochetti vari. “Ciò, Claudio (Casale), a Giorgio no te ghe dé mai qualche randeà?” dicevo. “Mai!” era la solita risposta. Il futuro dottore rispettava Giorgio e lo marcava “a vista”.
Ci siamo presi tante soddisfazioni tutti insieme, abbiamo dato filo da torcere alle grandi squadre, le abbiamo rispedite a casa con la coda fra le gambe.
Bruno Mendo, il nostro amato dirigente, era entusiasta del nostro settore giovanile e lo chiamava “il giardino”; aveva ragione, lo stare insieme a quei ragazzi era come vivere in un mondo straordinario.
Il giardino non durò a lungo. Il 25 aprile del 1979 se ne andò durante la notte chi quel giardino aveva accudito con tanto amore. Giorgio Carotta lesse poche righe nel minuto di silenzio osservato durante la partita della prima squadra. Poche parole per far capire a tutti che loro si sentivano orfani. Era terminata una stupenda avventura e guardando gli occhi lucidi dell’amico Carlo Zerlin, mio braccio destro e mio grande maestro, capii che era proprio così.
Quando, l’anno successivo, Giorgio segnò il gol che portò a Cittadella la Coppa Italia dilettanti nella partita giocata a Montecatini, al ritorno di sera venne a trovarmi nel seggio elettorale della scuola elementare del centro e abbracciandomi disse “Questo zé par Bruno”. “Bravo Giorgio”, gli risposi.
Come calciatore non poteva non essere notato ed infatti il Padova se lo portò nella sua Primavera con Fabio Pontarolo. Fu un anno abbastanza tormentato e la fortuna non l’aiutò; intanto si era iscritto all’Università di Padova e dormiva a casa di mia madre Pina; durante l’inverno dell’81 ci aiutò a completare l’impianto di illuminazione del campo di Ca’ Onorai, realizzato dalle persone che furono e sono le fondamenta della nuova Olympia.
Completò il campionato con il Padova, ma il richiamo della sua montagna alla fine prevalse: Giorgio prese la decisione di tornare al suo paese natale e di andare a lavorare alla Cassa di Risparmio di Arsiero.
Successivamente non faticai molto a convincere Tullio Pontarolo, nostro presidente, a portarlo con noi nella da poco nata famiglia biancoverde. Furono anni intensi e indimenticabili.
Il 15 agosto 1987, sulla Romea, perse la vita assieme alla fidanzata Micaela, mentre tornava dalle vacanze. Aveva 25 anni compiuti l’1 luglio.
Ciao, Giorgio Carotta, non faccio torto agli altri se dico che sei stato il migliore.

                 Franco

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